Smartphone a scuola: sì, no o nì?

31 Marzo 2023

Conversazione Sloweb – Giovedì 23 marzo 2023, ore 18

di Gianni Garbarini. La conversazione è iniziata con il racconto del mito di Teuth, tratto dal Fedro di Platone. In esso il dio Teuth illustra al sovrano Thamus i vantaggi dell’arte della scrittura che “renderà gli egiziani più sapienti e più capaci di ricordare, perché questa scoperta è il farmaco della memoria e della sapienza”. Thamus risponde che invece “la scoperta della scrittura produrrà dimenticanza nelle anime di coloro che la impareranno, perché fidandosi dello scritto si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da sé medesimi”.  “Della sapienza, poi, tu procuri ai tuoi discepoli l’apparenza e non la verità: infatti essi, avendo notizia di molte cose senza insegnamento, crederanno di essere dotti, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; e sarà ben difficile discorrere con essi, perché sono diventati portatori di opinioni invece che sapienti”. Sembra di sentire molte discussioni che si fanno oggi a proposito della rivoluzione digitale. Il Platone del Fedro, riportando il pensiero del suo maestro Socrate, riflette i dubbi e i timori, ma anche una certa ambivalenza – condanna la scrittura, ma scrive – di fronte al salto di tecnologia comunicativa dal discorso orale alla scrittura. Altre rivoluzioni dei mezzi di comunicazione si sono succeduti da allora: pensiamo all’invenzione del libro stampato, alla diffusione dei giornali, della radio, della televisione. Allo stesso modo di Platone, anche noi oggi proviamo una certa ambivalenza nei confronti della tecnologia digitale, l’ultima rivoluzione in ordine di tempo: da un lato ne vediamo i vantaggi e dall’altro ne cogliamo le insidie. Viene osservato che persino Sam Altman, CEO di OPENAI, in una intervista alla ABC, si è recentemente (19 marzo 2023) detto preoccupato per gli sviluppi di ChatGPT, creatura della sua impresa, prospettando un intervento regolamentare dei Governi e degli Stati, poiché l’IA può essere utilizzata per scopi malevoli (campagne di disinformazione, attacchi cyber) e potrebbe finire per «rubare lavoro» a molte persone. Certo è che i nuovi strumenti di comunicazione devono essere usati con un certo giudizio per evitare che prevalgano gli effetti negativi. La conversazione è proseguita con l’illustrazione della recente circolare (dicembre 2022) del ministro Valditara sullo “stop ai cellulari in classe” che in realtà nulla aggiunge a quanto già definito da una precedente disposizione del ministro Fioroni (marzo 2007), che a sua volta faceva riferimento addirittura  allo Statuto delle studentesse e degli studenti (giugno 1998), salvo prevedere numerose e dovute eccezioni, consentendo l’utilizzo di “tali dispositivi quali strumenti compensativi di cui alla normativa vigente, nonché, in conformità al Regolamento d’istituto, con il consenso del docente, per finalità inclusive, didattiche e formative, anche nel quadro del Piano Nazionale Scuola Digitale e degli obiettivi della c.d. “cittadinanza digitale” di cui all’art. 5 L. 25 agosto 2019, n. 92”. Nella circolare si dichiara di tener conto del documento pubblicato dalla Commissione Istruzione pubblica e beni culturali del Senato (giugno 2021) in cui venivano enfatizzati i danni derivanti dall’uso – e dell’inevitabile abuso – del cellulare da parte degli studenti, non senza una certa dose di retorica, con tanto di parallelismo tra smartphone e cocaina. È emersa l’impressione che la circolare del ministro Valditara risponda più alla volontà di uscire sui giornali con un richiamo alla severità e al rispetto più che all’esigenza di normare efficacemente uno strumento tecnologico nei fatti molto presente nelle scuole. Nel corso della conversazione alcuni interventi hanno evidenziato che nelle scuole, anche in altri paesi, come ad esempio gli Stati Uniti, i telefoni vengono conservati in appositi contenitori e restituiti alla fine delle lezioni o lasciati a disposizione con l’impossibilità di utilizzarli. Inoltre è stato osservato che la didattica digitale dovrebbe giovarsi di strumenti diversi dal telefono cellulare personale, ma eventualmente di dispositivi in dotazione degli istituti, poiché, se la scuola è pubblica, deve usare gli stessi strumenti per tutti, senza attuare sperequazioni o discriminazioni tra chi possiede e chi non possiede uno smartphone. Viene rilevato però che gli allievi oggi non distinguono tra cellulare tablet e computer: li usano piuttosto indifferentemente per fare gli stessi lavori. Inoltre le cantine delle scuole sono già piene di vecchi computer inutilizzati. A proposito del corretto uso della tecnologia digitale, uscirà a maggio il manuale Patologie da dipendenze digitali presso l’editrice scientifica Publiedit, con diversi contributi di psicologi, medici e ricercatori.  In esso Sloweb cura un capitolo nel quale si affrontano molti temi relativi alla sostenibilità digitale, alla necessaria responsabilità nell’uso delle tecnologie da parte di istituzioni, imprese e cittadini, offrendo anche una guida rivolta agli utenti su come difendersi da insidie, eccessi e abusi. È importante che nelle scuole i ragazzi imparino che gli smartphone vanno controllati da loro stessi. Bisogna essere educati ad usare quello strumento bene, magari togliendo le notifiche o evitando l’accumulo di fotografie, per fare solo due esempi. Inoltre viene riportato come il PNRR eroghi ingenti fondi per le scuole esclusivamente destinati all’acquisto di tecnologia digitale o a lavori strutturali, ma purtroppo non sia prevista nessuna spesa né per la formazione del personale né per tecnici che si occupino della gestione, dell’aggiornamento e della manutenzione di questi strumenti. Viene prospettata anche la necessità di diffondere la cultura della riparazione e del riuso degli strumenti elettronici anche se, a questo proposito, si fa notare quanto sia complesso realizzare tali esperienze con gli studenti, senza contare che la direzione del ministero non è quella del riuso, ma semmai quella di far spendere le scuole il più possibile. C’è chi sostiene che bisognerebbe distinguere lo smartphone come strumento didattico e lo smartphone come strumento “da insegnare”. Gli strumenti in mano ai ragazzi dovrebbero essere forniti dallo Stato, dovrebbero far parte del corredo scolastico, comprendendo sicuramente i computer, ma soprattutto delle piattaforme per la didattica. Si assiste ad un tentativo delle grosse multinazionali di penetrare in questo mercato con le loro offerte, Google in primis. Quindi, da un lato, è necessario offrire un ambiente didattico su computer che sia controllato e a cui gli studenti possano accedere per fare compiti, esercizi, esercitazioni, collegarsi ad internet, istruirsi. Dall’altro sarebbe importante avere una materia specifica all’interno del programma scolastico che insegni ai ragazzi come usare lo smartphone, in quanto elemento ormai irrinunciabile nella nostra epoca. Molti funzionamenti dello smartphone infatti sono mirati ad aumentare il profitto e favorevoli al modello di business delle società che forniscono i servizi ma non sono sicuramente concepiti come tecnologie neutrali. Diventa pertanto decisivo insegnare quali sono le applicazioni delle app, quali sono giuste e quali invece pericolose. Quindi l’insegnamento dello smartphone può diventare una materia, anche se, da questo punto di vista, ci sono grossi problemi di competenza, soprattutto da parte di chi dovrebbe insegnare. Bisognerebbe allora prevedere forse corsi a livello universitario sull’uso dello smartphone, da cui possano poi uscire degli insegnanti che spieghino le nuove tecnologie agli studenti e di come vadano usate in modo consapevole ed etico. In conclusione dell’incontro emerge la proposta che Sloweb faccia uscire un decalogo rivolto ai ragazzi delle scuole superiori: dieci suggerimenti per mettere il guinzaglio al proprio smartphone, come togliere le notifiche, stare attenti al numero di foto, alla duplicazione, ridurre gli sprechi e forse anche dare consigli su come praticare un po’ di digital detox, ecc. Potrebbe essere un’azione molto concreta da diffondere nelle scuole. Si tratterebbe di una educazione di base estremamente utile e forse ormai indispensabile.

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