Disinformazione e antidoti

5 Dicembre 2025

Di Lucia Confalonieri
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La competizione politica e geopolitica si gioca sempre più sulla percezione dei fatti. Per questo il mondo della rete è l’ecosistema ideale per la manipolazione dell’informazione e per la propaganda che, accanto a servizi di intelligence, sistemi di intelligenza artificiale, droni, interferenze elettorali, ecc, risultano elementi chiave delle guerre ibride, a loro volta alleate e precursori delle guerre tradizionali.

Al centro c’è il passaggio dalla misinformazione, intesa come informazione errata o faziosa, alla disinformazione, un imbroglio deliberato atto a destabilizzare e alimentare rabbia e paura negli individui e sfiducia nella democrazia.

L’evoluzione nel tempo

La disinformazione come strumento di potere esiste da quando il genere umano si è andato via via organizzando in strutture sempre più complesse per il controllo del territorio e delle risorse: basti pensare allo strumento del divide et impera che, neutralizzando popolazioni antagoniste, ha contribuito alla potenza espansionistica dell’impero romano.

Il digitale — tra profilazione mirata, bot, account falsi e ora modelli di IA generativa — ha amplificato il fenomeno, esploso nella campagna elettorale USA del 2016 con i casi di CambridgeAnalytica (Facebook), e del Russiagate (grazie al contributo della “fabbrica dei troll” di San Pietroburgo, fondata dal defunto Prigozhin) con lo scopo di minare la fiducia nel sistema democratico ed elettorale statunitense, alimentare le divisioni e favorire la vittoria di Donald Trump. Quelle elezioni hanno rappresentato dunque un “prima e un dopo” nell’uso scientifico della disinformazione.

Secondo un’indagine di Newsguard, il più autorevole servizio di valutazione dell’affidabilità e trasparenza dei siti di informazione, ad agosto 2024 i chatbot utilizzati per la ricerca di informazioni riproducevano disinformazione nel 18% dei casi e ad agosto 2025 nel 35%, raddoppiando di fatto il fenomeno.

Dall’indagine è anche emersa l’esistenza di una rete di siti collegati al Cremlino (150 siti che fanno parte della cosiddetta Rete Pravda) che riversano propaganda in molte lingue non tanto per “convincere” (anche se questa propaganda ha ricevuto 17 milioni di visualizzazioni su X) quanto per “avvelenare i pozzi” dei dataset usati dai chatbot (l’analisi è stata fatta sugli undici maggiori bot), così da contaminarne le risposte.

Questo aumento è il risultato di un compromesso strutturale: con l’introduzione delle ricerche in tempo reale, i chatbot hanno smesso di rifiutarsi di rispondere, anche quando la provenienza dei dati era di dubbia provenienza. I casi in cui non fornivano alcuna risposta sono passati dal 31% dell’agosto 2024 allo 0% dell’agosto 2025 e questo rende il fenomeno della disinformazione un circolo vizioso.

Free speech e hate speech

Uno degli elementi più controversi ed amplificati dalle reti sociali è quello del confine sempre più labile tra free speech e hate speech: il primo pur nelle sue esasperazioni attiene alla libertà di espressione mentre il secondo, noto come linguaggio d’odio, uccide il confronto. Chi rifiuta qualunque tipo di regolamentazione o di limite -come rivendicato da Elon Musk nell’acquisto di Twitter e nel successivo passaggio a X- quando si percepisce attaccato, in modo paradossale chiede sanzioni contro i critici. Dopo l’omicidio di Charlie Kirk, lo stesso Musk ha condotto una violenta requisitoria alla Utah Valley University contro la sinistra definita “partito della morte” in quanto alcuni suoi esponenti avevano osato criticare l’influencer, mente J.D. Vance

durante il Charlie Kirk Show ha avanzato una richiesta esplicita alle aziende americane di licenziare i dipendenti che commentavano negativamente i contenuti violenti e razzisti degli interventi di Kirk.

Non solo fake news

La disinformazione prospera anche senza notizie inventate di sana pianta, ad esempio attraverso la persistenza online di articoli falsi, successivamente smentiti ma mai rimossi. I pezzi originari restano quindi indicizzabili e continuano a ingannare i lettori in ricerche future.

E’ esemplare al riguardo la falsa accusa del quotidiano La Verità, durante la campagna elettorale per l’elezione del sindaco di Genova, contro Silvia Salis, ritenuta responsabile di aver investito un pedone con semaforo rosso, senza aver prestato soccorso. Nonostante l’immediata smentita dell’interessata, confermata dalla pubblicazione dei verbali di polizia, la notizia è stata rettificata senza però che l’originale venisse rimosso. La notizia falsa è stata poi diffusa sui social dal consigliere di FdI Gambino e per questo indagato.

Su un piano analogo si collocano “titoli griffati”, funzionali al clickbait. Titolazioni enfatiche generano indignazione, emozione e… clic, dove però spesso l’articolo smentisce il titolo, deformando nello stesso tempo la percezione generale, dato che a volte la maggioranza delle persone si limita alla lettura del titolo.

A questo si aggiungono forme di pubblicità occulta, come ad esempio la presenza di articoli sponsorizzati ma non dichiarati tali che pertanto vengono interpretati dall’utente come contenuti informativi indipendenti, generando false convinzioni sulla loro obiettività.

Fact-checking: chi investe e chi disinveste

Alcune testate costruiscono il proprio modello di business sull’affidabilità. Ad esempio il New Yorker, la rivista culturale più autorevole al mondo, si vanta del proprio ipernutrito e iperpignolo staff di fact-checking, cardine della propria reputazione, mentre nel mondo delle piattaforme si osservano arretramenti su programmi di verifica. Seguendo l’esempio negativo di Meta, anche Google sta dismettendo il proprio servizio di fact-checking ClaimReview.

Questa divergenza si inserisce in un quadro più ampio in cui alcune Big Tech stanno via via assumendo ruoli di potere all’interno dell’attuale amministrazione USA: accesso a dati sensibili che sconfina in una vera e propria schedatura di massa come avvenuto con il programma DOGE; collaborazioni con agenzie governative per sistemi di sorveglianza, come nel caso del software Palantir nel Dipartimento della Difesa, nella CIA, nel Dipartimento di Polizia (con servizi di “sorveglianza predittiva”) e nel famigerato ICE (Immigration Customs Enforcement) per il controllo dell’immigrazione; influenza sulla stampa come nel caso del cambio evidente di linea editoriale e perdita di autonomia (oltre che di abbonati) della redazione del Washington Post su pressione del proprietario Jeff Bezos in seguito alla vittoria elettorale di Trump.

Per questo si capisce facilmente come mai l’amministrazione Trump consideri con massimo fastidio le attività di regolamentazione della UE (Digital Service Act e AI Act in primis), al punto da farne oggetto di ricatto all’interno della politica dei dazi.

Condizionamento dei media

Oltre alle degenerazioni derivanti dal rapporto affaristico con le BigTech, l’attuale Amministrazione USA fa un uso abnorme dei poteri di enti regolatori, ad esempio quello della FCC (Federal Communications Commission) per condizionare media che ritiene ostili: poiché FCC può bloccare contratti in essere di emittenti televisive, attraverso questo potere l’Amministrazione può chiedere la chiusura di programmi sgraditi. Un altro strumento ricattatorio è quello delle cause miliardarie, come ad esempio quella contro il New York Times da 15 miliardi di dollari, accusato di essere il portavoce del partito democratico e quella da

10 miliardi contro il Wall Street Journal per la pubblicazione di documenti sul caso Epstein. Alcuni network querelati, come ABC e CBS hanno scelto di patteggiare, chiudendo programmi sgraditi, accettando cambiamenti redazionali e figure di controllo dei messaggi politici, scelte dall’Amministrazione.

Infine è consuetudine escludere da eventi istituzionali giornalisti non allineati e agenzie di stampa, come rivelato dall’esclusione clamorosa della AP (AssociatedPress), rea di essersi rifiutata di chiamare Golfo d’America il Golfo del Messico.

Anche in Italia la sollevazione e il successivo sciopero dell’intera redazione del Sole24 ore di fronte all’accettazione da parte della Direzione del diktat della Presidente del Consiglio di scegliere la giornalista da cui farsi intervistare (peraltro collaboratrice esterna alla redazione stessa), indica una tendenza a stringere il controllo sul flusso informativo, riducendo spazi di autonomia.

Effetti sul piano individuale

L’accesso a un’informazione affidabile si complica oltre che per le dinamiche esterne sopra descritte anche per le dinamiche psicologiche e sociali degli utenti.

Due dinamiche, in particolare, alimentano questa vulnerabilità: da un lato la sovra-informazione, l’enfasi sulle notizie negative, la loro spettacolarizzate e ipersemplificazione che producono ansia, rifiuto dell’informazione, sfiducia nei media mainstream fino a manifestazioni di complottismo; dall’altro esistono fenomeni riconducibili a bias di conferma e silos informativi.

In pratica tutti tendiamo a cercare contenuti che confermino le nostre idee e ci restituiscano un senso di identità e appartenenza, non solo verso chi la pensa come noi ma anche “contro” i nostri nemici. Nel caso di conflitti, questo porta al triste fenomeno della “empatia selettiva” per cui, al di là dell’ovvia differenza dei contesti di cui doveroso tenere conto, i morti non sono tutti uguali.

Ne consegue che i fatti non cambiano le opinioni perché ogni silo confeziona la propria versione e – soprattutto- selezione dei fatti.

Il modello di business basato su pubblicità e abbonamenti incentiva ulteriore faziosità perché non si possono smentire i punti di vista dei propri sostenitori, pena il danno economico.

La “cura”

Non esiste una ricetta miracolosa, ma alcuni possibili antidoti:

  • Usare strumenti di valutazione delle fonti, ad esempio indicatori di credibilità e trasparenza, quali: capacità di correzione e rimozione di articoli falsi, distinzione tra fatti opinioni, utilizzo di titoli non ingannevoli, trasparenza sull’assetto proprietario e i finanziamenti, segnalazione di contenuti pubblicitari o sponsorizzati, identificazione dei responsabili e degli autori, ecc.
  • Efficace e nel contempo rispettoso della libertà d’espressione è il metodo utilizzato dal già citato Newsguard che utilizza in modo trasparente questi parametri per valutare i siti d’informazione (attualmente oltre 35.000) e copre il 95% dell’engagement online in questo campo.
  • Incrociare e diversificare le fonti oltre i media. In particolare nel caso di conflitti complessi e stratificati nel tempo è utile fare riferimento ai report di attività in loco di osservatori appartenenti ad organizzazioni quali:
    • ONG (Amnesty International, Human Right Watch in primis ma anche ONG locali da esse riconosciute)
    • Osservatori dell’Alto Commissariato ONUper i diritti umani (OHCR)
    • Osservatori elettorali internazionali (UE, OSCE, Unione d’Africa, Consiglio d’Europa, ecc.) che coprono circa l’80% dei paesi nel mondo
    • Corte Penale Internazionale che valuta ed emette relative condanne in caso di genocidio, crimini di guerra e e crimini contro l’umanità
    • 5. OMS (Organizzazione mondiale della sanità, in inglese WHO – World Health Organization, per servizi di mappe in tempo reale sugli attacchi a strutture sanitarie nei conflitti in corso in tutto il mondo
  • Verificare l’accesso e la libertà di azione nei luoghi dei conflitti o nei paesi con sistemi politici autoritari dei giornalisti e loro eventuali persecuzioni, arresti o uccisioni
  • Per inchieste complesse fare affidamento al cosiddetto giornalismo investigativo di strutture indipendenti che fanno della reputazione, il proprio modello di business. Il modello di riferimento è quello del giornalismo anglosassone con testate storiche quali ad esempio The Guardian, The New York Times ma anche El Pais e Le Monde.
  • A questi si affiancano iniziative più recenti come Bellingcat(la cui affidabilità è pari al 100% secondo Newsguard), un network di professionisti e non, che su base volontaria operano nel campo del giornalismo investigativo applicando strumenti di Open Source Intelligence (OSINT) a dati pubblici (e quindi verificabili) come immagini satellitari. In questo modo hanno, ad esempio, portato la prova dell’utilizzo di armi chimiche in Siria durante il regime di Bashar al-Assad e dell’avvelenamento di Aleksej Naval’nyj ad opera del FSB (evoluzione del KGB nella Russia di Putin)

Conclusione

La manipolazione dell’informazione è oggi strumento strategico di scontro politico e geopolitico. L’ecosistema informativo attuale vede attori politici, economici e tecnologici competere per attenzione e imposizione dell’agenda.

La novità non è la propaganda, ma la sua scalabilità e micro-personalizzazione. Si interviene a monte: dataset “avvelenati”, mancanza di regole, uso improprio -eufemismo per non dire criminale- delle piattaforme, silenziamento dei media ritenuti ostili… e a valle: framing nei titoli, articoli falsi non rimossi, pubblicità occulta e disinvestimento su strumenti di fact checking.

In un tale contesto, abuso e concentrazione di potere, opacità e incentivi economici rischiano di erodere il fondo comune di realtà necessario al confronto democratico.

Per questo occorrono risposte e investimenti a più livelli:

Individuale– riconoscimento dei propri automatismi cognitivi: bias di conferma , tribalismo, empatia selettiva; adozione di strumenti di verifica e diversificazione delle fonti. In altri termini per informarsi correttamente occorre impegno e tempo.

Professionale – il giornalismo di qualità deve investire nel fact-checking e negli approfondimenti di qualità e adottare norme editoriali chiare su correzioni e trasparenza.

Istituzionale – pur essendo il campo meno accessibile, più distante e più sotto attacco, serve vigilare su rapporti tra piattaforme e potere, tutelare l’indipendenza dei media e gestire eventuali conflitti di interesse.

Solo così si recupera il terreno comune per un confronto civile, altrimenti la manipolazione dell’informazione e la propaganda – da qualunque parte provengano – continueranno a colonizzare il nostro spazio mentale privato e quello democratico pubblico.

NOTA: tutti i fatti riportati nell’articolo provengono da fonti altamente affidabili e incrociate con altre dello stesso livello