Accesso neutrale ai servizi TV in streaming

17 Dicembre 2020

di Franco Marra

La strada dell’inferno è larga e in discesa (prov.)

Premessa e scopo del documento

La “neutralità della rete” è il principio giuridico secondo il quale nessuno può essere discriminato nell’uso di Internet. Ma si può parlare di neutralità nell’accesso quando il numero e il tipo di servizi fruibili nel web è artificialmente stabilito da chi li fornisce? Quando esistono limitazioni al di là di quanto dettato dal potenziale della tecnologia? O quando l’utente, per incompetenza, abitudine o pigrizia, rinuncia all’uso dei motori di ricerca e si affida solo a servizi già impacchettati commercialmente?

I motori di ricerca indicizzano in pratica tutte le informazioni legittimamente esposte su Internet, ma trovare ciò che si desidera richiede competenza e pazienza nella formulazione delle query. Molto più facile attivare una app da un bouquet già presente sullo schermo. La strada dell’inferno è larga e in discesa.

Questa forma sottile di digital divide colpisce soprattutto chi accede all’informazione e all’intrattenimento attraverso i servizi TV dopo la migrazione dal broadcast radio allo streaming Internet. In primis si troverà ad affrontare difficoltà cognitive legate al cambio del paradigma di interfaccia, dalla selezione di un programma mediante telecomando, alla selezione di una app e successiva navigazione ipertestuale tra immagini e menu. Successivamente, invece di scegliere tra la globalità dei servizi consentiti dal sintonizzatore della sua TV, potrà solo aprire una app tra quelle configurate dal produttore del suo apparato, e per ogni operatore a navigare solo tra i contenuti da lui pubblicati. Altre app sono scaricabili dagli store, ma gli stessi store non sono neutrali, dato che “vendono” solo i contenuti che favoriscono il modello di business degli operatori loro proprietari; e allo stesso modo, sul suo apparato TV, l’utente troverà solo le app che favoriscono il modello di business del produttore.

La mancanza di neutralità all’accesso assomiglia alla mancanza di biodiversità, e porta, in modo simile a come la poca differenziazione in natura conduce alla fragilità delle specie, al depauperamento della creatività e dell’innovazione, a una deprimente uniformità nei contenuti, ad un abbassamento della qualità di quanto trasmesso, all’aggregazione dei servizi nella mani di pochi dominanti (a dispetto della neutralità della rete) e alla propagazione di pregiudizi culturali. In sintesi, al rutilante e superficiale “pensiero unico” del capitalismo della Società dell’Informazione.

In questo articolo si cerca una soluzione a questo problema proponendo un insieme di nuove interfacce che salvaguardino la neutralità all’accesso ai servizi, garantendo che la loro scelta sia, per quanto possibile, limitata solo dalla tecnologia di Internet e del web, e che riproducano al meglio l’esperienza d’uso dei mezzi più tradizionali, in modo da rendere più indolore possibile la migrazione degli utenti verso Internet.

Si inizia discutendo brevemente del perché l’accesso alle tradizionali trasmissioni in broadcast radio fosse implicitamente neutrale, per passare poi ad una breve disamina della tecnologia che permette lo streaming video sulla TV, evidenziando come le interfacce d’uso molto abbiano perso in neutralità rispetto al passato.

Dopo una rivisitazione del concetto di neutralità di accesso, si indica come il recupero di quote significative di questa possa passare attraverso nuove interfacce in grado di accedere a tutte le fonti disponibili, onorare per quanto possibile la legacy rappresentata da quelle tradizionali, e contemporaneamente di consentire la fruizione di quel valore aggiunto (informazioni di contesto, presentazione dei contenuti più graditi etc.) che la tecnologia del web consente.

Si sottolinea come l’uso dei particolari dispositivi (dongle) permetta già l’adattamento dei tradizionali apparati TV allo streaming. Adottandoli in massa, si può consentire al pubblico il recupero di buona parte del parco installato costituito dai “vecchi” televisori, rendendolo più robusto rispetto a cambiamenti tecnologici e trasmissivi. Questo aspetto e il suo basso costo fa del dongle il dispositivo ideale per il dispiegamento delle interfacce proposte nel seguito.

Tutto ciò, neutralità, qualità dei programmi, consentire la parola a tutti, rispetto delle abitudini d’uso degli utenti, abbattimento delle barriere di accesso e salvaguardia degli investimenti, costi di migrazione limitati possono essere considerati componenti non trascurabili della missione di un Servizio Pubblico, in grado di favorire anziani, persone a basso reddito e la inclusione degli immigrati, e di garantire creatività e diversità nella produzione di contenuti. Senza contare il vantaggio estetico per le nostre città dovuto alla diminuzione del numero di  parabole satellitari installate sui balconi e sui tetti degli edifici..

Alla luce di tutto ciò, si propone che la RAI Radiotelevisione Italiana si assuma la responsabilità della messa in opera e della gestione di servizi simili a quello tratteggiato in queste pagine.

Broadcast e streaming: storia, servizi e dispositivi

Il broadcast radio

La radio e la TV “tradizionale” si appoggiano su servizi radio in broadcast. Nel caso della radio, questo comporta una implicita neutralità del servizio. Se uno ha un apparecchio radio sufficiente “potente” è in grado di sentire le emittenti di tutto il mondo (Figura 1). Storicamente famosi furono in questo senso i servizi della BBC World Service o di Radio Europa Libera (e altri) che consentirono, grazie alla neutralità del medium, la conservazione dell’identità (britannica) e la propagazione dei valori occidentali nel mondo, malgrado l’esistenza di monopoli nazionali costituiti su base normativa e talvolta a forte caratterizzazione politica.

Questa capacità di accesso “neutrale” è anche nella natura di Internet e del web, prova ne sia il fatto che la rete è stata e viene utilizzata con alterne fortune e tra molte ingenuità dagli oppositori politici dei regimi dittatoriali e, in modo molto più robusto, dagli stessi governi per le loro azioni di propaganda politica1.

Nel caso della TV tradizionale e della radio a modulazione di frequenza, la banda relativamente larga necessaria alla trasmissione di fatto limita il raggio geografico di accesso ai servizi, data l’impossibilità di sintonizzarsi con emittenti non prossime. Questo limite tecnologico ha per molto tempo rinforzato il monopolio che molti governi avevano instaurato, sotto l’etichetta di “servizio pubblico” nel campo delle trasmissioni radio, data la necessità di reti nazionali di ripetitori per assicurare la contemporanea nelle trasmissioni. Sono così nate forme di monopolio pubblico in campo radiotelevisivo, dichiaratamente a scopo pedagogico ed educativo, ma anche al servizio della diffusione di modelli di pensiero unico. In Italia, il passaggio dal controllo governativo a quello parlamentare provocò una parcellizzazione al servizio delle forze politiche, ma non un’effettiva libertà di scelta, che non fosse all’interno del giardinetto precostituito dallo scenario politico. Uniformità particolarmente evidente guardando il tipo di contenuti trasmessi.

La frattura in questo schema, che segnò il passaggio dal servizio pubblico all’iniziativa privata e a un modello di business basato sulla pubblicità, fu la mitica Radio Caroline, che iniziò le sue trasmissioni nel 1964 da un vascello in acque internazionali, e che si impose trasmettendo musica rock, in barba alla regolamentazione sui diritti d’autore (giustificando il termine che si diffuse ovunque di “Radio Pirata”), ma assicurando paradossalmente il successo popolare della musica dei Beatles, dei Rolling Stones e dei Who, allora sistematicamente ignorati dalla paludata BBC. L’importanza di tollerare la pirateria in nome dello share, una lezione di marketing ben appresa e utilizzata dopo poco più di un decennio da Microsoft.

Negli anni 70 in Italia il limite normativo che proibiva le simultanee a livello nazionale tramite rete di ripetitori, venne provocatoriamente superato attraverso la distribuzione di cassette registrate con contenuti che sarebbero stati poi trasmessi su base locale ad orari sincronizzati. Dopo tutta una serie di vicende giudiziarie con riflessi politici alla fine si affermò anche in Italia il diritto di trasmettere su base nazionale (tramite ripetitori e satelliti), spalancando la porta ai privati e alle logiche di mercato. Non più solo quindi un servizio pubblico (RAI Televisione Italiana), ma altri modelli di business basati sulla pubblicità (Mediaset) o sulla pay TV (Sky) o su entrambe, anticipatori in qualche modo dei modelli di servizio che sarebbero stati dispiegati qualche decennio dopo in Internet. 

Internet e lo streaming

Oggi è possibile fruire di servizi TV (o più in generale video) tramite un altro medium, lo streaming internet. Questa tecnologia non ha in sé limiti impliciti di copertura, se non dovuti a fenomeni di digital divide legati alla larghezza di banda in via di progressivo superamento, ed è potenzialmente neutra grazie alla neutralità della rete. Ne è prova l’esistenza di numerose Internet Radio. Con un servizio di internet radio, si è in grado di “sintonizzarsi” in pratica con emittenti provenienti da ogni parte del mondo semplicemente cliccando sul nome della sorgente (Figura 2). Un po’ come si faceva una volta, sintonizzando la propria radio sulle onde “lunghe” alla ricerca della stazione desiderata.